lunedì 1 marzo 2010

Aspetto in classe il mio alunno rom

Aspetto in classe il mio alunno rom
di Silvia Borsani
in “Corriere della Sera” (edizione diMilano) del 25 febbraio 2010
«Sono un'insegnante elementare, lavoro nel quartiere Bovisa. Quartiere vivace e multietnico. La
mia classe, una prima, ne rispecchia le caratteristiche. A gennaio si è aggiunto a noi un nuovo
bambino: Romeo.
È un bambino rom, nei suoi sei anni di vita ha vissuto varie volte l'esperienza dello sgombero. È
arrivato nella nostra scuola dopo essere stato allontanato dal campo di via Rubattino e aver
interrotto la sua frequenza scolastica alle elementari di via Feltre. Avvisata del suo arrivo ho
contattato la sua maestra, che conosco personalmente per aver lavorato tre anni in quella scuola. Ho
recuperato i suoi libri e i suoi quaderni e glieli ho fatti trovare sul banco quando è arrivato nella sua
nuova classe, in via Guicciardi. Per due settimane ha frequentato la scuola, arrivando sempre
puntuale e motivato. In pochi giorni ha conquistato tutti noi con la sua allegria e il suo affetto, anche
la famiglia è sempre stata disponibile e rispettosa.
Un giovedì mattina, appena entrata in aula, sono stata letteralmente trascinata in corridoio da
Romeo che, parecchio preoccupato, continuava a ripetermi "polizia, sgombero". Speravo che si
trattasse di un fraintendimento e invece era tutto vero: il lunedì successivo lui, un'altra bambina che
frequentava la quarta e le loro famiglie sono stati sgomberati dal capannone in cui vivevano. Per
qualche notte sono stati ospitati in un centro di accoglienza. Finché ieri mattina sono stati
sgomberati anche dal posto in cui avevano trovato successivamente un riparo, in fondo a via
Bovisasca».
«Non ho parole. Non posso continuare a sentir parlare di "emergenza Rom" se non pensando che
l'emergenza è il degrado in cui costringiamo a vivere queste famiglie. Per me la vera emergenza ha
il volto di un bambino di sei anni che, lo dico perché lo so, non vede l'ora di tornare a scuola e non
può farlo. È facile continuare a vendere la storiella dei rom che non rispettano le regole e non
vogliono integrarsi, limitandosi a ragionare per stereotipi. Nemmeno io mi sento immune dai
pregiudizi, ma posso semplicemente raccontare quello che ho visto: una famiglia continuamente
cacciata nonostante la sua evidente volontà di iniziare un percorso nuovo, un bambino a cui sono
negati dei diritti fondamentali (la casa, l'istruzione), un percorso scolastico e affettivo
continuamente interrotto. E dietro la storia di una singola famiglia intravedo quella di troppe altre,
colpite da un accanimento che odora di persecuzione. La roboante retorica securitaria potrà
nascondere ancora a lungo il totale fallimento di queste scelte politiche nonché l'immane spreco di
denaro pubblico che ne deriva? Possibile che le cifre spese per sgomberare in continuazione le
solite famiglie non possano essere meglio investite in progetti seri di integrazione? Possibile che la
volontà di una famiglia di mandare il proprio figlio a scuola sia un dato da non prendere
minimamente in considerazione.
Romeo, quaderni e pennarelli sono sotto il tuo banco e la foto del tuo primo giorno nella nuova
scuola è ancora sulla porta dell'aula. Ti aspettiamo, torna presto a imparare, giocare, fare amicizia
con i tuoi compagni. A sei anni ci sono parole più belle da ripetere di "sgombero"».

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