mercoledì 23 giugno 2010

MONDO INFERNO


Per il Buddismo il mondo d’Inferno indica uno stato vitale debole, completamente condizionato dall’ambiente, nel quale non si ha la forza di reagire per uscirne.Il termine Inferno deriva dalla parola sanscrita naraka, che letteralmente indica una prigione sotterranea. Il nome giapponese (jigoku) è composto da due caratteri che significano “terra” e “prigione”. Terra indica il luogo più in basso di tutti, e prigione lo stato in cui l’essere è legato e totalmente immobilizzato: la condizione spirituale di una persona a cui è stata tolta la volontà di vivere e di agire, che non ha più la forza né la speranza di cambiare le cose. L’energia vitale che alimenta i desideri, gli istinti, le passioni, è quasi del tutto annientata. Nel Vero oggetto di culto Nichiren Daishonin scrive che «la rabbia è il mondo d’Inferno»,un rancore vuoto, sordo, che fa sì che si venga totalmente consumati da un senso di impotenza e frustrazione, intrappolati in emozioni che non trovano modo di esprimersi. Non riuscendo a sviluppare il coraggio di assumersi la responsabilità della propria infelicità, non si ha la forza di reagire per risolvere la situazione. Il tempo, nel mondo d’Inferno, sembra non passare mai. Quando la forza vitale si indebolisce, il flusso vitale quasi si interrompe e lo scorrere del tempo appare lentissimo. I sutra dicono che nel mondo di Inferno la vita dura un astronomico numero di anni. Scrive Daisaku Ikeda: «Anche se vi sono molte gradazioni del mondo d’Inferno, in generale è una condizione in cui il vivere stesso è penoso e tutto ciò che si vede serve solo a farci sentire ancor più infelici. In questo stato la forza vitale è debolissima, si approssima alla condizione di morte. Potremmo descrivere questa rabbia come il gemito della vita che ha esaurito ogni possibile risorsa».È questa la condizione interiore di chi pone fine volontariamente alla propria vita: quando lo spazio vitale si approssima allo zero, si può pensare che non vi sia altra alternativa che la morte. Cosa fare con chi sperimenta una condizione esistenziale così drammatica?«Ha bisogno – suggerisce Ikeda – di avere qualcuno vicino che ascolti ciò che ha da dire; qualcuno che gli offra anche una sola parola d’incoraggiamento. Può bastare questo per riaccendere la fiamma della vita nel cuore di chi sta agonizzando nella disperazione. Il solo sapere che c’è qualcuno a cui importa di lui o di lei produce un’espansione dello spazio vitale. Per quanto disperata appaia la situazione, se sentiamo che non siamo soli ma abbiamo un legame con gli altri e con il mondo, riusciremo sicuramente a risollevarci e a reagire».

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