giovedì 24 aprile 2008

PSEUDOECOLOGIA; Le lampadine ecologiche che inquinano l’ambiente


«M’illumino di meno», recita uno slogan che invita
al risparmio della luce elettrica. Per completarlo,
in tutta onestà, bisognerebbe aggiungere: « …ma
pago di più e inquino l’ambiente». E’ una storia
tipicamente italiana quella che ci spinge verso
l’illuminazione ecologica, senza che ci sia ancora
consentito di evitare la contaminazione degli
ecosistemi. Una nuova legge ha fatto scattare, a
partire dal novembre 2007, il pagamento di un
eco-contributo di 22 centesimi più iva per ogni
lampada a basso consumo acquistata. In cambio dovrebbe essere assicurato il ritiro delle
lampade non più funzionanti e, soprattutto, il loro riciclaggio in appositi centri, allo
scopo di evitare la dispersione delle sostanze tossiche contenute al loro interno:
mercurio e polveri fluorescenti. Invece, nei negozi in cui sono commercializzati questi prodotti,
non c’è traccia dei contenitori per la raccolta differenziata, né c’è l’intenzione di accollarsi
quintali di lampade fuori uso in attesa che si metta in moto il meccanismo di raccolta. Provare per
credere, i più vi risponderanno: «Sì, da quest’anno applichiamo il sovrapprezzo ecologico su lampade e
apparecchiature elettriche. Siamo stati informati dai produttori della costituzione di alcuni centri di
riciclaggio. Ma il servizio di raccolta non è partito». E nell’attesa le lampade finiscono nei
normali cassonetti della spazzatura dove, quando non si riducono in pezzi, spargendo
nell’ambiente le sostanze pericolose, tocca alla sensibilità degli operatori ecologici delle
aziende municipalizzate recuperarle e poi avviarle ai centri di raccolta capaci di
riciclarle. Il problema esiste solo per i 130 milioni di lampade a basso consumo di vario tipo vendute
ogni anno in Italia: i cosiddetti «tubi fluorescenti» compatti e non compatti, per i quali c’è l’obbligo
dello smaltimento differenziato. Tutte le altre lampade a filamento (o a incandescenza che dir si voglia) non contengono elementi tossici.

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